martedì 15 settembre 2009

Quale visione per L’Aquila?

L’Aquila è sempre riuscita a far innamorare chi ha avuto la fortuna di passarci un po’ di tempo, dai turisti di un pomeriggio in fuga da Roma a chi ci si reca per motivi di lavoro o di studio. Chi viene da lontano, come me, e la chiama e la considera casa propria si rende conto che ogni sua pietra, da Piazza San Pietro allo Sdrucciolo degli Asini, è impregnata di un po’ di magia.
Quindi non posso che essere d’accordo con il Presidente Onorario dell’Accademia della Crusca, Francesco Sabatini, quando presentando il volume da lui curato ha affermato che “Paradossalmente il terremoto può diventare un’occasione che non va perduta, perché la città era già in crisi ed ora bisogna ripartire verso obiettivi nuovi. Ci sono grandi prospettive se L’Aquila diventasse la Polis della Montagna”.
Le parole di Sabatini colpiscono, non solo per la loro chiarezza, ma perché rappresentano uno dei pochi tentativi di descrivere una visione del futuro delineatosi in questi mesi che hanno seguito il sisma del 6 aprile. Mentre è da considerarsi normale che la maggior parte delle energie delle istituzioni locali e nazionali vengano dedicate a risolvere le esigenze di base delle decine di migliaia di cittadini colpiti, sarebbe stato altrettanto normale se ci fosse stata un maggior dibattito, alimentato dagli stessi rappresentanti istituzionali, indirizzato a promuovere e tracciare il futuro della città. Tale dibattito è vivo tra le molte delle persone colpite dalla tragedia, che vivono e lavorano sul territorio o sono ospitate altrove, ma ancora non fiorisce, come ci si aspetterebbe, tra la nostra leadership politica locale ovvero, ammesso che ci sia, non emerge.
Gli altri terremoti che in passato hanno colpito L’Aquila hanno avuto un tratto comune - la capacità degli aquilani di essere i principali protagonisti della ricostruzione e del rilancio della loro città, anche in merito alle decisioni del governo centrale. Certo, l’intervento esterno è stato fondamentale. Dopo il terremoto del 1703 la decisione di ricostruire il Castello Cinquecentesco e la concessione di un lungo periodo (10 anni) di esenzione fiscale sono stati fondamentali, ma sono stati gli stessi aquilani a dare l’impronta alla città che riconoscevamo ancora prima del sei aprile.
Un’impronta caratterizzata dalle migliori proposte esistenti in quegli anni coniugate con gli elementi sopravvissuti, una scelta testimoniata dai tanti palazzi post 1703 che integrano, nella loro struttura, elementi storicamente precedenti a quel sisma. In altre parole fu posta molta attenzione nel preservare l’identità e la personalità dell’Aquila. Chi conosce L’Aquila sa bene che non sono solo i monumenti principali a far innamorare gli aquilani e i forestieri come me, ma il connubio tra i monumenti “maggiori”, le strade, le facciate dei tanti palazzi minori e il paesaggio.
Comunque per aver successo nel far risorgere L’Aquila che ricordiamo e amiamo, quella che non è unicamente fatta di “moduli abitativi durevoli”, è necessario che la leadership della città tenti di promuovere un idea di sviluppo per il futuro attingendo a piene mani da quel mercato intelligente del territorio aquilano fatto di istituzioni, professionisti, cultura, che potrebbero, in un modello di governance condivisa, creare un futuro migliore per L’Aquila, garantendo anche una rinascita economica legata alla ricostruzione.
Oggi nel marketing si usano termini come “visione” e “missione”, ma il concetto non è nuovo. Il lavoro di squadra necessità di una eccellente programmazione strategica (naturalmente ampiamente condivisa) per guidare le risorse in campo al raggiungimento dell’obiettivo comune. Solo così, parafrasando Socrate, la meta sarà assicurata.
Frasi del calibro di “com’era e dov’era” non sono sufficienti per definire un’idea di città che si è reinventata splendidamente già altre volte.
Ma le scelte di cosa ristrutturare, abbattere definitivamente o ricostruire con nuovi elementi devono essere prese con estrema attenzione e premura, anche perché il nuovo dev'essere all'altezza delle innovazioni architettoniche e urbanistiche sperimentate dopo il 1703. Lo sviluppo verrà se sapremo ora tenere insieme preesistente, realismo e visione, perché c'è un equilibrio tra storia e territorio che non può essere distrutto.
Mi sembrano quindi sempre più attuali le parole di Sabatini: “Un futuro migliore non può nascere dalla negazione del passato.”

di Joshua John Lawrence
growingabruzzo.blogspot.com

(Una versione più breve è stata pubblicata il 15 settembre 2009 su Il Centro)

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