giovedì 31 gennaio 2008

Sviluppo: puntare sui vantaggi competitivi naturali

In Italia e in Europa si parla molto dell’impatto economico di paesi in via di sviluppo come la Cina, l’India e le altre “tigri” d’oriente e d’occidente sul sistema industriale del “vecchio continente”. Questi paesi, oltre alla fame di modernizzarsi possono far leva su un basso costo del lavoro e sull’impegno a fare impresa.

Il dibattito nel mondo imprenditoriale e politico italiano ed europeo ruota spesso attorno al quesito su come competere con le imprese di questi mercati, e su e in che modo ci si possa avvantaggiare delle opportunità offerte dall’Asia , sul dumping e sulla sicurezza.

Lancio una provocazione. Forse, invece di concentrarsi su come possiamo resistere o guadagnare dall’ “ondata orientale” e evitare che le nostre aziende delocalizzino la produzione prima, e il design dopo, sarebbe molto più utile chiederci come possiamo fare per attirare proprio le tigri d’oriente a voler investire qui da noi.

O meglio, come possiamo assicurare che il nostro sistema-regione (e paese) sia attraente per investitori locali ed internazionali, comunque sia il costo del lavoro e gli aiuti di stato in Asia, nelle Americhe o nell’Europa orientale?

Oggi quando un investitore decide di mettere a rischio delle risorse in un territorio, prende in considerazione numerosi fattori a cui assegna priorità in linea con la propria strategia di business. Molte aziende italiane che hanno spostato fasi di produzione all’estero stanno tornando sui loro passi. Perché? Perché trovano all’estero, specialmente nelle economie in via di sviluppo, maggiori elementi di rischio: fornitori meno affidabili, sistemi amministrativo e legale poco trasparenti, ingenti costi formativi, problemi di comunicazione, trasporti, ecc..

Certo, molti imprenditori e investitori riterranno che i vantaggi in termini di costo di lavoro e aiuti statali saranno maggiori dei rischi e delle difficoltà organizzative. Ma queste decisioni derivano dalla valutazione dei loro singoli settori e dalle condizioni di mercato. È da chiedersi se un’economia regionale basato soprattutto su imprese guidate dal costo del lavoro e da aiuti di Stato sia la scelta giusta su cui fondere un’economia sostenibile.

La risposta è facile: no. Le imprese che campano soprattutto su fondi statali e basso costo del lavoro sono quelle maggiormente a rischio di chiudere o spostare la loro attività di produzione appena le condizioni vengono a mancare in una economia sempre più globalizzata.

Nella competizione mondiale tra territori è fondamentale che le politiche di sviluppo puntino sulle condizioni uniche o difficilmente riproducibile già presenti o possibili in breve tempo. La proposta della Fondazione Mirror, sviluppata in seguito a indagini e iniziative promosse dalla Micron indicano, giustamente, che la strada da seguire è di andare oltre un concetto di “made in Abruzzo” a “designed in Abruzzo”.

Cioè non solo sulla capacità produttiva ma sulla capacità di innovare e di creare.

Gran parte delle imprese più vitali della nostra regione operano già in settori in cui la ricerca e le capacità dei lavoratori altamente specializzati e flessibili fanno la differenza: parliamo delle nanotecnologie elettroniche, l’aerospazio, le biotecnologie e le tecnologie mediche e farmaceutiche per nominare solo gli esempi più noti.

Inoltre, anche nei settori cosiddetti “maturi” come il tessile ci sono luci (come la Brioni) che dimostrano che le ombre non coprono necessariamente tutto e che il patrimonio di conoscenza e creatività del settore sono una fondamento valido su cui competere nel mercato globale.

I punti di forza storici delle imprese italiane, la creatività e la capacità di individuare e sfruttare la fascia alta o specializzata del mercato sono ancora più decisivi nell’economia del terzo millennio.

E specialmente quando combinati con altri punti di forza, alcuni sofferenti ma sempre attuali nella nostra regione: un sistema di educazione e formazione di alto livello, una alta qualità della vita, un territorio bello con tradizioni solide, una forza lavoro qualificata, la vicinanza a Roma e alle vie di comunicazione, l’assenza di criminalità organizzata, la reputazione di creatività e design che l’Italia gode nel mondo, costituiscono le basi per costruire un sistema-regione che possa concorrere a testa alta sul palcoscenico mondiale.

Dobbiamo solo avere chiaro dove vogliamo andare e tenere l’ occhio sulla bussola.

1 commento:

GrowingAbruzzo ha detto...

Ndr, vna ersione simile è apparsa su Il Centro a settembre 2007