giovedì 31 gennaio 2008

LE SFIDE DELL’ABRUZZO “GLOCALE”

dell'On. Prof. Pierluigi Mantini(Il Centro, 15 gennaio 2005)

L’Abruzzo, letto attraverso i numeri, registra una fase economica negativa. La disoccupazione, secondo l’Istat, è aumentata di mezzo punto percentuale: dal 5,3% nel terzo trimestre del 2003, al 5,8% nello stesso periodo del 2004. In numeri concreti vuol dire che l’occupazione netta in Abruzzo ha subìto una flessione di 17 mila posti nel periodo. Un dato superiore alla flessione media nazionale.
Un altro dato su cui riflettere è che l’Abruzzo ha avuto una delle maggiori crescite, in termini assoluti, nel settore del lavoro temporaneo, con conseguente aumento della precarietà. Il lavoro atipico, oltre a diminuire il senso di sicurezza delle famiglie, ha un effetto negativo sui consumi in quanto una mancanza di sicurezza sugli introiti, e la difficoltà di accesso al credito per chi svolge un lavoro atipico, rallentano gli acquisti: dalle prime case, alle automobili agli altri generi di consumo.
Dall’ultima classifica annuale “Dossier sull’Italia” del Sole 24 Ore (2005 ndr) , le quattro Province abruzzesi hanno visto peggiorare la loro posizione. L’Aquila è al 46° posto (-11 posizioni), Chieti al 54° posto (-1), Pescara è al 68° posto (-8) e Teramo è al 60° (-13). La analoga classifica di Italia Oggi, di poche settimane precedente, ha purtroppo dato un quadro simile. Certo, ci sono province dell’Italia meridionale che soffrono in fondo alla classifica e altre che hanno perso più posizioni. Ma altre regioni e province, con un’alta presenza di zone alpine e appeniniche, sono invece in cima alla classifica: per esempio Trento, che ha guadagnato 10 posizioni piazzandosi terza mentre Aosta è seconda, per tenore di vita e Lecco, Prato e Reggio Emilia sono in testa per affari e lavoro. Questi successi da parte di città comparabili, specialmente per quanto riguarda Trento e Aosta, sono anche frutto della loro storia recente.
Invece di consolarci perché gran parte del centro sud va peggio, dobbiamo confrontare le loro “best practices” e adattarle alle peculiarità delle città abruzzesi. Dobbiamo cogliere ciò che meglio ci aiuta a creare nuove ricchezze e benessere, mantenendo le nostre peculiarità. A differenza di ciò che è stato sinora, la regione Abruzzo ha bisogno di una nuova leadership che abbia progetti, obiettivi, e soprattutto una visione forte e condivisa, proiettata verso il futuro. Questa è la vera sfida che l’Abruzzo deve assumersi. E la sfida può avere un nome: “Abruzzo glocale”.
Il fatto che la regione sia uscita dall’Obiettivo 1 dell’UE è oramai un fatto consolidato, e con l’allargamento a 25 anche molte regioni del sud saranno obbligate a rinunciare all’accesso privilegiato a fondi strutturali dall’Europa e a partecipare ad un gioco più ampio e più duro.
Il turismo, spesso sbandierato come uno dei settori da privilegiare non ha avuto un’estate brillante. Arrivi e presenze sono diminuiti complessivamente al mare (-0,1% e -3%), e sulle montagne (-14,8% e -14,7% ). La flessione delle presenze nelle aree interne è particolarmente preoccupante in quanto il turismo di qualità delle aree interne italiane è uno dei settori a maggiore tasso di crescita (prevedibilmente anche nel prossimo decennio). Il turismo sostenibile delle aree interne dovrebbe diventare uno dei motori di sviluppo di tali aree, contribuendo così anche a frenare lo spopolamento dei centri minori e incentivando l’aumento dei valori immobiliari in tanti comuni che è attualmente vicino allo zero.
Turismo, ambiente, infrastrutture, qualità della vita sono, insieme, un asset fondamentale che l’Abruzzo deve valorizzare in modo assai diverso e maggiore di quanto non abbia fatto in questi anni. Solo per fare un esempio, tra i molti, non ci si può accontentare di lasciare sulla carta i PRUSST dell’Abruzzo costiero, “La città lineare”, e quello delle aree interne, “ le città dei parchi”, che pure prevedono un complesso di azioni di grande rilievo.
Occorre una sfida virtuosa per realizzare i programmi non solo per scriverli! E l’Abruzzo deve investire molto di più nel proprio capitale umano. Abbiamo Università, alcuni poli tecnologici e una vasta platea di knowledge workers, lavoratori della conoscenza, anche nei ceti professionali, spesso sottoutilizzati, soprattutto tra i giovani. Le professioni tradizionali che si trasformano in mille specializzazioni e le nuove professioni che si affermano, sono la parte più dinamica e moderna dei nostri mercati del lavoro (circa il 20% in termini di addetti e di PIL).
Vanno sostenuti con lungimiranza, non solo con riforme nazionali che non si vedono, ma anche con politiche regionali: come ha fatto Illy, nel Friuli Venezia-Giulia, con l’Assessorato alle Professioni e al Lavoro.
Occorre sostenere società di servizi professionali e reti dei saperi in grado di competere e di vincere. Questo è il cuore dell’Abruzzo “glocale”, che cresce nella globalizzazione con le sfide della conoscenza e delle professioni valorizzando nel contempo le qualità locali del suo territorio.
Per fare questo, e molto altro ancora, è però necessaria una maggiore qualità dell’azione pubblica: più etica e più competenza. Gli ultimi fatti, compresa la cd. legge anti-D’Alfonso, non vanno in questa direzione. La campagna elettorale è alle porte e molti programmi politici saranno scritti. A riguardo mi permetto di ricordare due cose. La prima, è l’ “Abruzzo glocale”, di cui ho appena scritto: non può mancare, in alcun programma. La seconda, è quanto era solito ricordare Sturzo: i programmi politici non si scrivono, si vivono.

1 commento:

GrowingAbruzzo ha detto...

Nonostante il fatto che molti dei riferimenti sono datati (elezioni, programmi europei, non era ancora visibile sull'orizzonte l'87.3.c per le aree interne abruzzesi) lo spirito e la proposta di base (l'Abruzzo "Glocale") regge ancora oggi.
E poi volevo portare dentro un testo non mio.